- Arrestato ed Imprigionato a Kahrizak! - Il terribile racconto e la testimonianza diretta di un uomo detenuto nella famigerata prigione di Kahrizak -
-Un auto si è fermata davanti a me, sono saltati fuori due uomini che mi hanno afferrato, e dal momento che continuavano ad insultarmi e a prendersi gioco di me, ero quasi felice, ho pensato “non sono le forze di polizia, forse vorranno solo dei soldi, poi mi lasceranno andare”. Quando, però, mi hanno tenuto la testa tra le ginocchia perché non vedessi la direzione dell’auto e mi hanno bendato, ho capito. Ho capito che erano della milizia e ho tentato di intuire dove mi stessero portando, quali strade l’auto stava percorrendo. Mi è sembrato che il ponte cha avevamo appena attraversato non conducesse alla prigione di Kahrizak. Avevo paura di fare domande, non volevo sentire i loro insulti ancora una volta, così ho semplicemente chiesto:”dove mi portate?”.Uno di loro mi ha risposto:” Stiamo andando a fo***ti. Non ho chiesto più nulla. Loro continuavano a prendersi gioco di me, mentre io stavo lì a pensare che quella gente apparteneva proprio alle forze di polizia, uomini che dovrebbero garantire la giustizia!
Dopo un po’ l’auto si è fermata e loro mi hanno trascinato fuori. Non potevo veder nulla e continuavo a sbatter conto tutto e tutte le volte ricominciavano gli insulti ;”P***na di una madre, sei cieco, non vedi”. Mi hanno consegnato a delle persone e portato in una stanza. Qualcuno di loro ha detto: “dategli il benvenuto per mezz’ora finchè non sarò di ritorno”. Nemmeno il tempo di terminare la frase ed hanno iniziato a picchiarmi. Era terribilmente doloroso ma poco dopo il dolore ha lasciato posto alla rabbia ed al coraggio. Non so quanto tempo è trascorso, mi sentivo come se avessi perso il senso del tempo e dello spazio. Continuavano a picchiarmi e mi urlavano :”dopo che saremo venuti a f***ti, comprenderai molto bene il vero significato della rivoluzione di velluto”.Dopo mi hanno gettato in una stanza e sono andati via.
Ero sicuro che quello sarebbe stato il luogo in cui mi avrebbero stuprato ma non glielo avrei lasciato fare..stavo meditando di uccidermi. Dopo pochi istanti qualcuno mi ha sollevato e mi ha messo su una sedia, le mie mani sono state ben legate. Hanno chiesto il mio nome e quello di mio padre. Ancora una volta mi hanno portato in una stanza, una diversa però e mi hanno detto che quella era la “la stanza dello stupro”. Mi hanno lasciato lì, hanno detto che sarebbero tornati. Ogni secondo che passava mi sembrava un anno. Non sono tornati.
Sono venuti di nuovo, mi hanno trascinato in un’altra stanza: ancora botte e d insulti. Mi hanno poi messo in una nuova stanza così piccola che non riuscivo nemmeno a sedermi o a dormire, potevo solo rimanere in piedi. Sentivo dolore per tutto il corpo, ero pieno di rabbia, avevo fame e sete ma mi rincuorava il pensiero che almeno non mi avrebbero violentato ma continuavano picchiarmi in quel modo perché probabilmente volevano ottenere da me una confessione … ignoro cosa avrei dovuto ammettere o confessare. La stanza in cui mi trovavo mi faceva quasi rimpiangere il luogo dove mi picchiavano: era terribilmente piccola e soffocante. Non so quanto tempo sono rimasto lì, ero così assonnato. Sono arrivati di nuovo, mi hanno portato via: stessa scena, stessi insulti.
Durante il primo interrogatorio mi hanno fatto domande sul mio coinvolgimento nella campagna elettorale per Moussavi, sulle persone che avevano preso parte alle proteste post elettorali. Volevano dei nomi. Ho ammesso di conoscere Taj Zadeh, Ramezanzadeh, Amin Zadeh, Tabatabaee e Taj Zadeh ma non era abbastanza, così è stato chiamato qualcuno ed in quell’istante ho sentito odore di combustibile, di bruciato.”Brucialo” ha detto il mio aguzzino, pensavo fosse un bluff ma ero ugualmente terrorizzato. Stavo bruciando..mi hanno versato il combustibile addosso. Il calore era infernale, mi sentivo come se stessi bruciando al sole Dopo poco mi hanno portato in un’altra stanza per continuare ad interrogarmi ma ho perso conoscenza. Quando ho ripreso i sensi ero di nuovo in quella soffocante e minuscola stanza, ero divorato dalla rabbia.
La seconda volta che mi hanno interrogato ero nuovamente quasi privo di sensi. Lui mi ha detto “sei davvero fortunato che sia io ad interrogarti ma se non collabori non avrò altra scelta che permettere loro di stuprarti. Non riuscivo a sentirlo molto bene. La sua voce si interrompeva bruscamente e poi non ho capito più nulla. Ho sentito l’acqua sulla faccia e qualcosa di dolce sulle labbra. La persona che mi interrogava ha detto:“sono ormai tre giorni che sei qui e non ho ottenuto alcuna informazione. Voglio farti una domanda personale..quando è stata l’ultima volta che hai “s***to?”. Non ho detto nulla e lui ha continuato: “siamo da soli adesso, solo io e te, non vergognarti, non sono come questi rifiuti umani che cercano solo di s***re qualcuno”. Non ho aperto bocca, lui ha riso e ha detto: “tu si che sei un vero uomo! Per quanto mi riguarda, l’ultima volta è stata pochi giorni fa. Adoro le ragazze più giovani, più sono giovani meglio è”. Ha iniziato a parlarmi di una sua “relazione” con una ragazzina di 10 anni e poi mi ha chiesto: “ quanti anni ha tua figlia? 11 vero?” Stavo esplodendo per la rabbia.
La stessa storia si ripeteva durante tutti gli interrogatori: lui continuava a parlarmi della ragazzina e l’altro delle violenze sessuali che avrebbero usato contro di me. Una volta, al colmo della rabbia ho urlato : “Dio”! Ho ricevuto in risposta un pugno in faccia ed un dente rotto. Urlavano “non sei degno di invocare Dio” mentre continuavano a riempirmi la faccia di pugni, fino a quando ho perso i sensi. Quando mi sono ripreso, un altro ragazzo ha iniziato farmi domande sui miei rapporti fuori dall’Iran e su i miei amici di Radio Farda, sulle informazioni che raccoglievamo etc. Mi hanno picchiato cos’ violentemente che alla fine ho ceduto e ho dato loro notizie sui i miei presunti “amici” di cui non conoscevo nemmeno il nome!
Credo fossero trascorsi ormai 5 giorni quando mi hanno portato in auto in un luogo diverso. Era un paradiso rispetto al precedente, potevo persino sedermi e dormire, mi hanno dato qualcosa da mangiare: era disgustoso ma era sempre del cibo.
Non sapevo se la scorsa notte sarebbe stata l’ultima per me: prima mi hanno lasciato fare una doccia, poi mi hanno portato fuori dalla cella e mi hanno detto di togliermi i vestiti. Mi hanno messo su un’ auto e portato da qualche parte. L’ agente che era con me mi ha detto: “ti abbiamo portato qui per prenderci cura di te perché non gradisco le persone ferite. Hanno commesso un errore a picchiarti in quel modo sin dall’inizio, non amo affatto trarre soddisfazione dalla gente ridotta così, ma a qualcuno piace..Ti ha mai s***to qualcuno in questo modo da quando sei qui?”
Non ho detto nulla, non avevo nulla da dire. Mi chiedevo come fossero riusciti a mettere insieme, in un unico posto, persone tanto volgari e disgustose. Siamo ripassati per lo stesso ponte e temevo che mi riportassero dove ero stato la prima volta, ma l’auto si è fermata, mi hanno spinto fuori praticamente in mutande e bendato. Un’ auto mi è passata accanto e ho sentito una risata fragorosa. Ho tolto la benda, ero all’inizio di via Pirouzi. Era notte fonda, ero sicuro che fossero le 2 di notte passate.
Ero praticamente nudo, senza soldi, senza scarpe, nessun documento di identità con me. Chi mai avrebbe accettato di portarmi a casa dall’altra parte della città? Dov’era casa mia? Un’auto si è fermata accanto a me, il conducente avrà pensato che fossi pazzo. Sono riuscito a mormorare qualcosa e lui mi lasciato entrare in auto. Era davvero un brav’uomo. Mi ha dato dei vestiti e dei soldi. Mi ha chiesto come stessi e ha pianto con me per quasi due ore.
Quella notte mi ha ospitato nella sua casa, a sud di Teharan. Ho fatto una doccia, ho cercato di riprendere un aspetto decente. Quest’uomo aveva votato per Ahmadinejad, ma dopo le elezioni, dopo aver ascoltato alcune storie, ha cambiato idea. E’ stata la prima persona a cui ho raccontato direttamente la mia storia. Lui ne aveva ascoltate tante, ma tutte indirettamente. Mi ha raccontato di Taraneh Mousavi…
A translation would be nice.
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