Sunday, November 15, 2009

Ehsan Fattahian è stato giustiziato dalla Repubblica Islamica dell’ Iran……




Non Ho Mai Temuto la Morte

Gli ultimi barlumi del sole al tramonto

Mi mostrano il sentiero sul quale scrivere

Il crepitio delle foglie sotto i miei passi

Mi sussurra “lasciati andare

e riscoprirai il cammino verso la libertà”

Non ho mai temuto la morte. Persino adesso, mentre sento la sua presenza accanto a me, voglio assaporarla e riscoprirla. La morte, la più antica compagna di questa terra. Non voglio, tuttavia, parlare della morte. Voglio spiegare le ragioni che vi sono dietro. Nella situazione in cui l’essere puniti è l’unica risposta che riceve chi chiede libertà e giustizia, come si può temere il proprio destino? Quelli tra “noi” che sono stati condannati a morte non hanno altra colpa se non quella di aver cercato di costruire un mondo migliore.

Sono nato a Kermanshah, la città che chiamano la “culla della civiltà”. Crescevo e prendevo coscienza delle profonde ingiustizie e della discriminazione che regnavano. Ingiustizie che mi toccavano non solo come singolo individuo ma come parte del genere umano. Ho percorso migliaia di strade e preso diverse direzioni nel cercare risposte e scoprire le ragioni di tanta ingiustizia. Sono diventato un combattente Komeleh per ritrovare la mia identità rubata. Prima di allora non mi ero mai separato dalla mia prima casa, e una volta, solo per pochi istanti vi ho fatto ritorno. Volevo ritrovare un po’ del mio passato, dei miei ricordi. Durante una delle mie saltuarie visite mi hanno trovato. Mi hanno arrestato, mi hanno sbattuto in cella. L’ accoglienza che i miei “rapitori” mi hanno riservato fin dal primo giorno, mi ha convinto che avrei percorso la stessa trafila di quelli che mi avevano preceduto. Mi aspettava la stessa sorte di quanti erano stati lì prima di me: torture, accuse fabbricate ad arte, un processo farsa, un verdetto ingiusto e politicamente manovrato, ed alla fine la morte.

Dopo essere stato arrestato il 20 Luglio 2008 a Kamyaran, sono stato portato all’ ufficio locale del Ministero dell’ Intelligence. Alcune ore più tardi, mentre ero stato bendato e legato - non riuscivo a veder nulla o a fare il minimo movimento – qualcuno che si è presentato come sostituto procuratore, ha iniziato ad interrogarmi. Erano domande irrilevanti, vere accuse già preconfezionate ( vorrei ricordare che è assolutamente illegittimo eseguire interrogatori al di fuori di sedi giudiziarie). Era solo il primo di una lunga serie di interrogatori che avrei dovuto sostenere. Quella stessa notte fui portato alla sede provinciale del Ministero a Sanandaj, dove mi aspettava la vera sorpresa che mi avevano riservato: una cella lurida con un bagno disgustoso e lercio. Le coperte non venivano lavate da anni. Questo fu l’inizio di tre mesi trascorsi percorrendo un corridoio dalla mia cella alla stanza degli interrogatori e viceversa, mentre venivo sistematicamente picchiato. I rispettabilissimi interrogatori erano così ansiosi di ottenere promozioni o guadagnare di più che mi hanno accusato delle cose più bizzarre ed impensabili. Hanno usato ogni mezzo a loro disposizione per provare che avevo preso parte ad operazioni armate. Avrebbero potuto unicamente provare che ero stato membro del Komeleh e che avevo partecipato ad attività di propaganda anti regime. La sentenza, emessa durante il primo processo, che mi condannava a10 anni di detenzione era una prova sufficiente del fatto che mi era stato imputato un solo capo d’accusa. La prima sezione del tribunale rivoluzionario di Sanandaj mi ha condannato a dieci anni di detenzione da scontare nella prigione di Ramhormoz fuori il Kurdistan. L’ establishment iraniano ha sempre favorito una politica di accentramento, ma nel mio caso, apparentemente, sembrava ci fosse stata un’ inversione di tendenza! Di recente ai tribunali le corti provinciali è stata conferita l’autorità giudiziaria in relazione ai casi dei prigionieri politici, anche in quelli con una sentenza di esecuzione capitale. Questi ultimi, in passato, erano di stretta competenza della Corte Suprema. Così, il pubblico ministero di Kamayaran ha contestato la sentenza iniziale, e, a sorpresa, contro la legge iraniana, la sezione numero 4 della Corte d'Appello del Kurdistan ha mutato la sentenza di detenzione a 10 anni in condanna a morte. Infatti, secondo l’ articolo 258 del diritto penale iraniano, le corti d’appello possono solo emettere una sentenza più pesante rispetto a quella inizialmente stabilita se questa è al di sotto del minimo richiesto dalla legge. L’ accusa formulata dal pubblico ministero è quella di “Moharebeh” (nemico di Dio), per la quale è prevista una pena minima di un anno di detenzione. Basterebbe unicamente questo, paragonare i dieci di detenzione inizialmente inflittimi, con la pena minima richiesta per un simile reato, per realizzare quanto assolutamente illegittima ed ingiusta sia la mia condanna a morte.

Prima che la mia sentenza fosse mutata in condanna a morte, sono stato portato dalla prigione di Sanandaj al centro di detenzione del Ministero dell’ Intelligence dove mi è stato chiesto di rilasciare una confessione, falsa, ripreso da una videocamera, nella quale avrei dovuto esprimere pentimento e rimorso per azioni mai commesse e rinnegare ciò in cui credevo. Non mi sono piegato alle loro richieste, non ho ceduto. Mi è stato detto perciò che la mia sentenza sarebbe mutata in una condanna capitale. Sono stati solerti a mantenere la parola data.

Tutti i giudici pronunciano un giuramento solenne: rimanere imparziali in ogni momento, sempre e in tutti i casi: prendere decisioni secondo la legge e null’altro al di fuori della legge. Di quanti giudici di questo paese si può dire che non abbiano infranto questo giuramento rimanendo equi ed imparziali? Si contano sulle dita di una mano. Quando un intero sistema giudiziario ordina arresti, processi, detenzioni e condanne a morte con il semplice gesto della mano di un interrogante incompetente, corrotto, cosa ci si può aspettare dai giudici minori di una provincia che è sempre stata discriminata? Sono le fondamenta stesse della casa ad essere fatiscenti. In rovina.

Durante il mio ultimo incontro in prigione con il pubblico Ministero che aveva emesso l'atto di accusa iniziale, egli stesso ha ammesso che la sentenza era illegittima. Eppure, per la seconda volta, è stato stabilito che si procedesse con la sentenza capitale. Inutile dire che l'insistenza nel sostenere l'esecuzione ad ogni costo è il risultato di pressioni esercitate da gruppi politici e di intelligence al di fuori della magistratura, per i quali la vita o la morte di un prigioniero è una partita giocata sul tavolo degli interessi politici ed economici. Null’ altro vedono se non i propri scopi, i propri illegittimi interessi, anche dinnanzi al diritto di vivere di ogni uomo, un diritto ineliminabile. Non è forse tragicamente inutile aspettarsi da loro il rispetto dei trattati internazionali, quando non rispettano nemmeno le proprie leggi?

Un’ultima parola: se questi uomini al potere, gli oppressori, credono di mettere a tacere con la mia morte la questione curda, si sbagliano. La mia morte e la morte di tanti altri come me non risanerà la ferita, non metterà fine al dolore. Non farà altro che appiccare fiamme su fiamme. Non c’è alcun dubbio che ogni morte è l’inizio di una nuova vita.

Ehsan Fattahian,

Prigione centrale di Sanandaj

Fonte: Human Rights Activists in Iran

Ultimi Aggiornamenti da “The Bridge” #6 (uscita 10 Nov. 2009)



  • >>Shadi Sadr riceve il premio Human Rights Tulip
Shadi Sadr, avvocato iraniano e ben nota attivista dei diritti delle donne, ha ricevuto il premio olandese Human Rights Tulip, prescelta dal Ministro degli Esteri olandese tra 116 candidati al premio provenienti da 63 paesi, per la sua intensa attività legale e giornalistica, per il suo impegno civile nelle battaglie per i diritti umani e contro la lapidazione.

Nel ritirare il premio, la Sadr ha sottolineato quanto sia necessario che la questione dei diritti umani in Iran diventi argomento dei negoziati internazionali accanto alla questione sul nucleare. Inoltre ha rivolto un deciso ed accorato appello ai paesi occidentali - inclusa la stessa Olanda quale nazione che ospita la sede del Tribunale Internazionale per i Crimini contro L’Umanità - affinchè venga istituito un tribunale internazionale che indaghi ed accerti e prenda provvedimenti rispetto alla sistematica violazione di tutti i diritti umani avvenuta in Iran. I crimini commessi e la brutale violenza perpetrata senza soluzione di continuità dalle autorità iraniane deve essere legalmente perseguita, afferma Shadi Sadr.

  • >>400 Nuovi detenuti nella prigione di Evin dopo le proteste del 4 Novembre
Nella ben nota prigione di Evin, a Tehran, è stato registrato l’ingresso di almeno 400 persone tra il 4 e ed il 6 Novembre, in occasione delle manifestazioni di protesta del 13 Aban. I “nuovi” detenuti sono stati trasferiti in gruppi da diverse stazioni di polizia o temporanei centri di detenzione. La maggior parte di essi è stata collocata nella nota sezione 209 di Evin e in isolamento nella sezione numero 7. Alcune informazioni trapelate tuttavia suggeriscono l’ipotesi che il numero degli arresti potrebbe essere maggiore, sebbene le autorità giudiziarie e le forze di polizia continuano a dichiarare che un numero esiguo di persone sia stato arrestato durante le recenti proteste.
  • >>110 Giornalisti Arrestati in 150 Giorni
Un recente rapporto di Reporters sans Frontiéres ha stabilito che in meno di 100 giorni sono stati arrestati circa 150 giornalisti in Iran, che di fatto è diventato il paese più rischioso in assoluto per operare come giornalista. L’organizzazione internazionale Reporters sans Frontiéres, nota per la difesa del diritto alla libertà di stampa nel mondo, ha redatto l’ allarmante rapporto in occasione dei recenti arresti di alcuni giornalisti avvenuti in Iran in occasione delle proteste del 4 Novembre. Tra essi Farhad Poladi, reporter dell’agenzia di stampa France, Nafiseh Zarekohan legato a molti giornali riformisti, e Negar Sayeh.

“ In meno di 150 giorni, dall’inizio delle proteste seguite alla rielezione di Ahmadinejad avvenuta il 12 giugno, 100 tra giornalisti e blogger sono stati arrestati e 23 sono ancora in prigione” si legge nel rapporto. Inoltre negli ultimi cinque mesi circa 50 giornalisti sono stati costretti a lasciare il paese, mentre quelli che sono rimastati sono sistematicamente sottoposti a minacce e pressioni da parte del regime. Nel rapporto annuale di Reporters sans Frontiéres l’Iran occupa la posizione più bassa tra i 175 paesi considerati rispetto alla libertà di stampa: il paese dove più è rischioso e meno sicuro essere e vivere da giornalisti.

  • >>Giovani Donne Arrestate e Trasferite in Luoghi di Detenzione Sconosciuti
Come è noto le manifestazioni di protesta avvenute il 4 Novembre 2009 hanno nuovamente scatenato la reazione brutale e violenta del regime e delle forze di polizia massicciamente schierate. La polizia ha caricato i manifestanti, lanciato lacrimogeni, colpito con manganelli, bastoni, caschi e moto. Ci sono stati feriti e soprattutto massicci arresti. A dispetto dell’ondata di polemiche che l’ennesima dimostrazione di violenza contro civili e manifestazioni pacifiche ha provocato tra i paesi dell’occidente, il regime iraniano persegue la sua politica di arresti indiscriminati contro giornalisti, attivisti e dissidenti politici. Stando a notizie raccolte a Bahar Street, a Tehran, molti manifestanti – giovani donne arrestate – caricati su un autobus, sono stati trasferiti in una località sconosciuta. Molte ragazze sono state arrestate nei dintorni di Hafte Tir e Valiasr e non si ha notizia del luogo di detenzione, mentre altre sono state trasferite nella sezione 209 del carcere di Evin. Considerati i ben noti e terribili precedenti di abusi e violenze a danno dei giovani prigionieri, cresce considerevolmente la preoccupazione per lo stato di salute di queste donne.
  • >>109 Arresti secondo il rapporto ufficiale della Polizia iraniana
Gli arresti effettuati in occasione delle proteste del 4 Novembre 2009 sarebbero, stando alle dichiarazioni ufficiali del portavoce delle forze di sicurezza Rajabzadeh, circa 100 di cui 62 sarebbero le persone detenute in attesa di processo mentre le altre sarebbero state rilasciate dopo gli interrogatori.

  • >>Un'altra Kahrizak….Cosa accade nel centro di detenzione di Khorin a Varanim?

Desta notevole preoccupazione la situazione di moltissime ragazze e giovani donne arrestate durante le manifestazioni del 4 Novembre e trasferite in luoghi di detenzione sconosciuti, fuori dal raggio di azione di attivisti e supervisori per i diritti umani. Si affaccia l’ipotesi che questi arresti siano stati preventivamente pianificati dalle autorità, vista la repentina smentita da parte delle forze di polizia in merito all’arresto di molte donne. Una smentita che suona ancora più sospettosa se si considera che tra le 100 persone arrestate il 4 novembre la maggioranza di esse è costituita da giovanissime.

Stando a diverse notizie, la maggior parte delle donne arrestate sono state trasferite nella famigerata prigione di Khorin, vicino Varamin, tristemente nota per terribili crimini ed abusi: una seconda Kharizak. Inoltre ad avvallare simili notizie contribuisce il trasferimento di molti detenuti “regolari” di Khorin nella prigione di Evin per far spazio ai nuovi arrivi.

In ultima analisi le preoccupazioni per il trasferimento di manifestanti nel centro di detenzione a Varamin sono state indirettamente confermate da Sohrab Soleymani, capo delle prigioni di Teheran. Mr. Soleymani ha riferito all'agenzia di stampa Mehr, che "Khoreyn" è un centro di detenzione utilizzato esclusivamente per “crimini generici” in cui sono coinvolti unicamente individui “della zona". Ha affermato inoltre che al momento sono registrate 40-50 criminali di sesso femminile nel centro e che nessuno di loro è stato arrestato il 4 novembre.
  • >>Le famiglie dei prigionieri politici protestano contro le disumane condizioni delle carceri
Accorata e veemente lettera di protesta di alcune famiglie dei circa 50 prigionieri politici - ancora detenuti dalle proteste post elettorali di giugno - sulle disastrose condizioni del carcere di Evin. In particolare le sezioni numero 7 ed 8 dove è confinata la maggior parte di essi. Senza considerare che molti prigionieri in seguito alle legittime proteste per le precarie condizioni di vita della prigione, sono stati in tutta risposta mandati in isolamento.

La lettera denuncia l’assoluta mancanza delle basilari norme igienico-sanitarie, la mancanza di letti per cui molti detenuti sono costretti a dormire nelle sale della sezione. Le celle sono anguste, consentono meno di mezzo metro quadrato di spazio a ciascun detenuto. Inoltre come se non bastasse, il confinamento nella sezione 8 di Evin, è un ulteriore tentativo di fare pressione psicologica sui detenuti: la sezione in questione è infatti notoriamente destinata a detenuti colpevoli di omicidio o traffico di droga. Dall’inizio delle proteste post elettorali, il regime ha arrestato più di 4.000 persone. Più di temila sono state rilasciate solo su cauzione.